Roma (Italia). Vi presentiamo la eco di Marika al termine della due-giorni di riflessione insieme, giovani e religiosi/e dei cinque continenti, organizzata dalla Commissione Educazione di UISG e USG e svoltasi a Roma il 1° e 2 dicembre 2017).
“Condivido con voi religiosi e religiose impegnati nel campo dell’educazione dei giovani la mia riflessione.
Una criticità: in questo periodo di preparazione al Sinodo emerge spesso il tema dei giovani e della ricerca di un linguaggio intergenerazionale per arrivare ai loro cuori. Relativamente a questo, il mio timore è che come educatori rischiamo di essere alla ricerca dello strumento perfetto, dell’esperienza perfetta che funzioni ovunque (cfr l’ultima moda del ‘franchising delle catechesi’), di un passe-partout che possa aprire qualunque porta… Forse, invece, quello che dobbiamo modificare è proprio il nostro approccio, la nostra forma mentis dell’incontro col giovane e, qui, mi sembra che una delle possibili chiavi di lettura possa essere data da una parola molto spesso usata: l’Ascolto… Una chiave, una pista di lavoro concreta da applicare subito - dal risultato immediato e dall’immediatezza dell’operatività - ben riassumibile nell’icona dei discepoli di Emmaus: partire dai giovani, dai loro bisogni, stando loro accanto, nel mondo.
Una positività: l’incontro con tanti religiosi e religiose da tutto il mondo mi colpisce molto per il volto della Chiesa che fa intravedere, quello di una “Chiesa storyteller”, che si sa raccontare e si racconta nella sua umanità, una Chiesa meno didascalica e più universale, nel senso “di tutti”; una Chiesa che riconosce i propri limiti, le proprie fragilità e che racconta anche queste perché si racconta nella sua Verità e che raccontandosi affascina per la propria Autenticità.
Il mio sogno: faccio un po’ fatica a distinguere qual é il mio sogno per la Chiesa come giovane educatrice di adolescenti, come sposa cristiana, professionista nel campo socio-economico e giovane mamma…
Direi che il mio sogno è sempre lo stesso: la Chiesa che vorrei come laica, la Chiesa che vorrei per il movimento laicale a cui appartengo, la Chiesa che vorrei per i ‘miei’ adolescenti, la Chiesa che vorrei per mia figlia, che vorrei vivesse e respirasse mia figlia, è una Chiesa che “produce dal basso”, dall’humus, dalla terra; una Chiesa in cui le istanze vengono dalla vita vissuta perché l’incontro vero con l’Altro avviene proprio lì, nella vita vissuta, e perché l’incontro vero e profondo con il Signore avviene nella relazione vissuta con l’Altro.
La Chiesa che vorrei è allora una Chiesa che cambia movimento, non più ‘verticalizzata’ - con un movimento di contenuti e iniziative che arrivano “dall’alto” - ma una Chiesa che produce dal basso… una Chiesa che non ha bisogno di “uscire, andare fuori”, perché è già fuori, tra la gente, in mezzo ai giovani. E lì vive il vangelo.
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